mercoledì 19 dicembre 2012

Specchi d'acqua a Livorno

"Il sole le luna e l'ombre abitan perennemente quell'acque, dove trasalgon le fronde al vento che non si tace" Carlo Betocchi

"Gli occhi della rana non impediscono alla giraffa di bere nello stagno" proverbio africano


"Invece nello stagno acquoso dei miei occhi, io non ho scorto altro che la piccola ombra diluita (quasi naufraga) di quel solito niño tardivo, che vegeta segregato dentro di me" Elsa Morante


"Vedete, noi conduciamo qui nella palude una vita tranquilla e ritirata, ci accontentiamo di garbazzare e scepetare e contemplare l'umidità in modo abbastanza plombesco" Douglas Adams


"(...)l'acqua di Debussy purifica e rigenera una musica ormai vuota di sostanza e piena di forme sclerotizzate da una tradizione morta" Francesco Spampinato




Un passo indietro di 100000 anni:
"(...) Nell'ultima glaciazione Livorno non fu invasa dai ghiacci, 
ma risentì naturalmente del globale abbassamento di temperatura (...)". 
Nel periodo della regressione dell'acqua a causa dell'avanzamento dei ghiacci (glaciazione del Würm, che ha inizio 75.000 anni fa) anche l'area dove si trova oggi Livorno era popolata da rinoceronti, ippopotami ed elefanti, che ben si trovavano nelle lagune costiere, formatesi proprio in seguito alla regressione dell'acqua. Nell'era interglaciale precedente (Riss - Würm, 200.000 - 75.000 anni fa), dove invece molte zone erano completamente coperte dalle acque e la temperatura era molto più tiepida di adesso, in acqua fu favorita la presenza anche di pesci tropicali. Prima dell'ultima glaciazione del Würm il pianeta era stato interessato almeno da altre quattro glaciazioni, intervallate da lunghi periodi interglaciali. (fonte: "Vita nella Livorno preistorica" di Ada Amadei Sala).


Prima dell'intervento dei Granduchi di Toscana in questa parte di Livorno, come indicano gli stessi nomi Stagno e Guasticce, regnava una vasta zona palustre con prati umidi. 

Ecco alcuni passi tratti dalla vita nel Medio Evo nella comunità di San Leonardo di Stagno.
"(...) Stagno, con tutto il contiguo Padule, era una volta più vasto di quello che sia di presente, poiché è stato, per quanto si è potuto, colmato e reinterrato... E' verisimile che nei contorni di Stagno, l'aria non fosse alcuni secoli fa tanto insalubre, quanto lo è ai nostri giorni (...)" da "Relazioni del viaggio per li territori di Pisa, di Porto Pisano, del territorio livornese e di parte delle colline di Pisa" di Giovanni Targioni Tozzetti (1747).


Da "La comunità di San Leonardo di Stagno nei secoli XII e XIII" di Federico Zucchelli e Giampaolo Zucchelli

"(...) Nel basso Medio Evo esisteva una estesa raccolta di acque ferme e paludose, di limitata profondità ma di superficie assai ampia che veniva denominata stagno. Da questo bacino prese il nome il piccolo villaggio che sorgeva nelle sue vicinanze (...) il paese non era soltanto un complesso di edifici ma anche un luogo dove convergeva gente da tutto il circondario. Molteplici, infatti, erano le attività economiche che vi si potevano svolgere (...) Non è ben chiaro quanto fossero in percentuale le persone, raccoglitori e allevatori in particolare, insediati stabilmente nell'area di Stagno, e quanti invece svolgessero il mestiere, già allora in voga, di "pendolare". I principali mestieri erano svolti da agricoltori, vignaroli, stipaioli, mortellai, coltivatori di piante palustri, tagliaboschi, mandriani, pastori, allevatori, uccellatori, pescatori, costruttori di barche, barattolai, vasai, macellai, ecc... (...) Nella zona veniva praticata con grande lena anche l'attività di uccellagione (l'uccellagione è una tecnica di caccia mediante l'uso di trappole e reti, simile al moderno bracconaggio) (...). La proprietà della comunità era costituita da terre coltivate, dai boschi, da una palude ricca non solo di pesci ma anche di piante palustri, da animali come i bovini e gli ovini ed infine da superfici acquatiche dove erano allevati i pesci (i cosiddetti "Callari") (...) oltre ai pascoli vi erano anche aree destinate alla coltivazione del grano e del miglio, mentre i vigneti erano situati soprattutto nelle zone limitrofe di Porto Pisano (...). Abbondanti erano pure le piante palustri che venivano raccolte ed utilizzate per il fabbisogno della comunità. La palude era ricca di erbacce e graminacee, che venivano essiccate e usate come cenere per la "fritta" (vetrina piombata). Anche la paglia veniva utilizzata per fare barattoli o vasi dai barattolai e dai vasai stessi. I luoghi dove si trovava la paglia si chiamavano "pagliareti" (...)". 


La zona circostante comprende adesso il padule di Suese (con la Tenuta Bellavista Insuese), un'oasi naturalistica umida, relitta delle vecchie paludi costiere e più verso Pisa, sull'Arnaccio, il padule del Biscottino. Il circondario ha comunque origini assai più antiche del 1800 (quando Collesalvetti fu riconosciuta comunità autonoma rispetto a Livorno), ne è testimonianza il ritrovamento dei resti di un antico villaggio palafittico. Il lago Alberto è il principale lago dell'Oasi della Contessa.





Per quel che concerne gli interventi di Bonifica dei Granduchi di Toscana sul territorio Toscano è interessante la lettura di Andrea Zagli "Il lago e la comunità. Storia di Bientina un <<castello>> di pescatori nella Toscana moderna". Nella presentazione del libro da parte di Adriano Prosperi si legge: "(...) non avremo da temere gli inganni di cui è capace l'attardato contemplare da posizioni di tutta sicurezza i paesaggi del piccolo mondo antico dell'età preindustriale. Nella loro cruda precisione, le descrizioni che un medico condotto ci dà delle condizioni di vita e di morte della popolazione bientinese agli inizi dell'800 bastano a riportarci davanti quei terribili spettri della fame, del disagio e della fatica, che mezzo secolo di benessere hanno cancellato dalla nostra memoria. (...) da "Il lago e la comunità. Storia di Bientina un <<castello>> di pescatori nella Toscana moderna" di Andrea Zagli. E' una storia tanto interessante, quanto triste, che denota tutta la drammaticità del vivere in un luogo, la palude, dove i confini del "lago" sono instabili e quindi instabile e precaria la vita dei suoi pescatori. Le zone di pesca sono contese dalle diverse comunità, poi privatizzate, fino addirittura ad arrivare alla scomparsa del Lago di Bientina stesso, per dare spazio alla definitiva bonifica della zona. Si parte dal 1500 per giungere fino alla metà del 1800. 

Uno dei problemi maggiori che riscontrava questa comunità erano le inondazioni...


"(...) in occasione dell'inondazione dell'Arno del 1547, uno scrittore come Bernardo Segni ne rintracciava le cause primarie nel disboscamento del Falterona e degli altri appennini «per far ferriere e legnami» con la conseguenza che «veniva il terreno più agevolmente ad essere smosso dalla furia delle acque, e per tal via scendendo al piano, a riempire i letti dei fiumi, e ad inalzargli.» (...) ancora nel gennaio del 1647 la comunità di Bientina aveva chiesto provvedimenti e l’autorizzazione a spendere la somma di 1.000 scudi per rialzare gli argini del padule affinché «la terra di Bientina non resti sommersa nel acque se più ne venisse in tanta abbondanza, come le setimane adietro, andandosi in detta terra, e fuori con le barchette mediante le rotture di detti argini, quali oggi si ritrovano molto scassati.» (...)".


Uno dei passi del libro più interessanti è sicuramente anche quello che riguarda l'urbanizzazione delle campagne.

Il medico condotto del paese, il fiorentino Francesco Pagnini, descriveva così la vita dei cittadini di Bientina: "Le strade sono strette e la maggior parte delle case fatte di mattone con pochi fondamenti (...) Per le altre strade facendo riflessione all’angustia delle case, alcune delle quali, oltre minacciar rovina, sono strettissime, umide, con terreni senza pavimento, e alcuni ripieni di letame (...)." Andrea Zagli nel libro ""Il lago e la comunità. Storia di Bientina: un castello di pescatori nella Toscana moderna" spiega: "(...) Una struttura che sulla fine del ‘500 aveva iniziato ad essere inadeguata a contenere l’aumento di una popolazione che, fra XV e XVI secolo, era praticamente triplicata (...). L’estrema riottosità delle persone a sottoporsi alle cure mediche, conviveva con pratiche tradizionali che prolungavano all’interno delle mura le diverse attività produttive, rurali e non; quindi l’ammasso dei concimi nelle strade e nelle case, la promiscuità di uomini e animali, la presenza di letamai e di immondezzai a cielo aperto era comune al pari dell’espletamento delle rispettive esigenze - lavorative e corporali - nelle strade (...). Non a caso il Cartegni si domandava stupito come fosse possibile che in simili condizioni di cattiva aria e di fetore - cui andava aggiunta la continua promiscuità lavorativa dei suoi abitanti con l’ambiente umido - non esplodessero violentissime pestilenze. I provvedimenti presi, sottoscritti dallo stesso governo locale all’inizio di maggio 1610 e realizzati negli anni seguenti sotto l’incalzare di una situazione igienica che rimaneva allarmante, possono essere sintetizzati nel modo seguente: apertura di alcune porte nelle mura castellane per favorire una maggiore circolazione di aria; ripulitura dei letamai interni del paese e proibizione di tenere concimi in vicinanza delle case (...)", ecc...  



Ecco una delle innumerevoli citazioni riguardo alla privatizzazione di questo territorio:

"(...) Anche nella podesteria di Ripafratta, ad Asciano, nel1567 si tentò di dividere le «terre padulesche» fra gli abitanti per lavorarle, mentre a Buti, vicino a Bientina, nello stesso anno furono suddivisi i boschi comunali fra un centinaio di abitanti. Si trattò, in ogni caso, di tentativi di aumentare le superfici coltivate determinati sicuramente da complessi fattori quali l’aumento demografico e l’innalzamento dei prezzi cerealicoli, ma anche dalla necessità per molte comunità toscane di aumentare le entrate «estimali» attraverso il recupero sul piano produttivo di aree abbandonate nel corso del basso medioevo. Una testimonianza sul piano letterario di questa propensione alle coltivazioni e alla riduzione degli incolti è riscontrabile, alla fine del XVI secolo, negli scritti del fattore granducale Ceseri Frullani di Cerreto Guidi, che aveva dedicato due opere manoscritte ai problemi del vicino Padule di Fucecchio: attraverso le sue parole si ha la netta impressione della fine di un’epoca, quando dichiarava che era «scemato l’amor degl’huomini circa le cose comunali» dopo le numerose alienazioni e privatizzazioni di terreni realizzate nella seconda metà del XVI secolo (...)". 

In sintesi il libro descrive come "(...) Il tipo di organizzazione che si era venuta modellando, così segnato da una diffusa <<cultura delle acque>> e da un orizzonte ambientale così particolare, iniziò a subire profonde trasformazioni assai prima che la scelta della bonifica divenisse una scelta di politica territoriale non più differibile (...) La decisione del governo di procedere al definitivo prosciugamento del lago si concretizzò dopo il Decreto del 10 aprile 1852 (...)"



Presso Collesalvetti è presente il Lago La Badia, atto alla pesca sportiva.


Anche per quel che concerne la pesca nella zona è interessante leggere ciò che si dice nei libri "La comunità di San Leonardo di Stagno nei secoli XII e XIII" di Federico Zucchelli e Giampaolo Zucchelli (per quel che concerne il Medio Evo) e "Il lago e la comunità. Storia di Bientina un <<castello>> di pescatori nella Toscana moderna" di Andrea Zagli (per quel che concerne i secoli dal 1500 al 1800). 

Da "La comunità di San Leonardo di Stagno nei secoli XII e XIII" di Federico Zucchelli e Giampaolo Zucchelli:

"(...) Venivano adoperate delle speciali reti nelle quali entravano i pesci, attraverso una stretta apertura e non potevano più uscirne (la rete si chiamava "bordoncello"), ed altre ancora che consistevano in reti più grandi che fungevano da autentici vivai (la rete si chiamava "bordone"). Reti, chiamate "ripaiole", calate nei canali dove la corrente era molto veloce, permettevano di assicurare dei risultati molto validi, in termini di pescato. Ci si avvaleva anche di altri marchingegni, costituiti da reti di lancio ("giacchi"), fiocine (arnese da pesca costituito da un'asta e una punta, che può essere anche lanciato, e in questo caso è munito di fune che lo collega all'imbarcazione) e lumi (i lumi erano adoperati di notte e all'alba) (...)". Le reti "(...) venivano calate dalle imbarcazioni costruite dagli stessi abitanti (piccole imbarcazioni che si potevano tirare facilmente a riva, chiamate "lontre" o anche "placte"(...)". Quando si fa riferimento alla "lontra", anziché collegarla direttamente al nome di una imbarcazione piccola, maneggevole, leggera, facile da costruire e a guisa di canoa, "(...) c'è chi (Targioni Tozzetti 1701) addirittura propone un'ipotesi suggestiva e vagamente esotica, quando sostiene che nello stagno vivessero realmente delle lontre (...)", dotate di finissimo odorato e vista acuta, già abili cacciatori di pesca di per sè, "(...) è affezionato al proprio padrone e si lascia addestrare facilmente per la cattura dei pesci (...)" (Del Rosso 1920).


"(...) Il divieto quindi di utilizzare i «gorri» diveniva la discriminante principale nei rapporti giurisdizionali fra i due Stati (Lucca e la comunità bientinese) per la gestione dello spazio lacustre; successivamente il divieto venne esteso alle altre reti chiamate «cerchiaie», anch’esse strumenti per la pesca a strascico i cui danni di natura ambientale («mandano a male tutte le crie, et ova de’ pesci») e di natura economica (non diversamente dai gorri distruggevano le reti degli altri pescatori) vennero proibiti mediante «Bandi» emanati congiuntamente dai due Stati nel 1632. Veniva così formalizzata la normativa fondamentale che avrebbe regolato la pesca in comune nello spazio lacustre per almeno due secoli. (...)"

Da «Atti criminali. II. Vicario Ranieri Tozzi. 1779-1781».

"(...) Son certi vasi simili nella figura a un Coppo da Olio, cioè in fondo piani, e larghi alla circonferenza di circa due braccia, e in cima stretto stretto che appena ci entra una mano, serrandosi tanto in cima che in fondo, messo che vi si è il pesce con un tappo di legno, e tali vasi chiamati nasse o sian vivai da pesce sono fatti di legni piccoli d’avetrice, tessuti poi con dei salci, e verghe piccole fermate assieme strettamente perché non esca il pesce, alte tali nasse due, e tre braccia l’una, essendovene delle più grandi, e delle piccole anche tra quelle che si tiene noi altri che in tutte ne averemo sessanta, o settanta (...)". 






Il laghetto di Popogna Vecchia (alla "Fonte dell'Amore") è uno dei primi bacini d'acqua dolce, realizzato per scopi irrigui (in questo caso dai proprietari della Fattoria di Popogna).



"I prelievi per usi irrigui superano in molte zone del pianeta le capacità di apporto dei corsi d'acqua, delle piogge e quella della ricostruzione delle riserve naturali. La vicenda più esemplare è la morte del Lago Aral (Asia Centrale) che era il quarto lago più grande del mondo. (...) ridurre il carico inquinante dell'acqua utilizzata da agricoltori, industrie ed insediamenti urbani, permetterebbe in gran parte il loro riutilizzo per l'irrigazione. Il consumatore può a sua volta fare molto per migliorare l'ambiente, semplicemente acquistando prodotti di stagione, di provenienza locale, prodotti biologici o prodotti col marchio di qualità".

Da "Il monitoraggio delle acque ad uso irriguo nel Parco Regionale Migliarino San Rossore Massaciuccoli - tenute di Tombolo e Coltano" di Nicola Silvestri e Luca Gorreri. Come ho potuto leggere sulla pesca sul lago di Bientina come i pescatori lucchesi non rispettassero "l'ambiente" con la loro pesca invasiva, rispetto ai bientinesi, che ne conoscevano meglio le caratteristiche produttive e che quindi gestivano meglio le risorse per il futuro, spesso gli agricoltori da soli non sono in grado di sfruttare le risorse idriche, senza danneggiare l'ambiente, perché c'è bisogno di tenere di conto di numerosi fattori, tra i quali (specialmente in un ambiente come il padule) la salinità è soltanto uno dei principali. Sempre dal libro di Silvestri e Gorrieri: "(...) In alcune aree infatti appaiono chiari gli effetti della contaminazione di origine marina e gli elevati livelli di cloruri, di sodio e di conducibilità costituiscono evidenze incontestabili dell’aggravarsi dei fenomeni legati all’intrusione delle acque salmastre e all’avanzamento del cuneo salino. Il mutato regime delle precipitazioni, le ridotte altezze di pioggia, l’eccessivo sfruttamento della falda, la mancanza di aree umide che assicurino l’infiltrazione delle acque piovane, l’ancora troppo scarso riciclo delle acque in uscita dai depuratori sono tutte concause della penetrazione e dell’avanzamento del fronte marino sia attraverso il territorio costiero, sia attraverso possibili vie preferenziali (quali ad esempio alcuni canali di bonifica, il canale dei Navicelli e lo stesso fiume Arno) (...)".



Sopra l'abitato di Quercianella è presente l'unico invaso naturale dei Monti Livornesi. Si tratta di un laghetto originato nella Formazione delle argilliti e calcari silicei a "Palombini".



Non dimentichiamoci mai che l'acqua è ciò che ha permesso la vita sul nostro pianeta. 
Ricordiamoci sempre che l'acqua è un bene comune.

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Altre letture:
di Francesco Spampinato


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