"Gli occhi della rana non impediscono alla giraffa di bere nello stagno" proverbio africano
"Invece nello stagno acquoso dei miei occhi, io non ho scorto altro che la piccola ombra diluita (quasi naufraga) di quel solito niño tardivo, che vegeta segregato dentro di me" Elsa Morante
"Vedete, noi conduciamo qui nella palude una vita tranquilla e ritirata, ci accontentiamo di garbazzare e scepetare e contemplare l'umidità in modo abbastanza plombesco" Douglas Adams
"(...)l'acqua di Debussy purifica e rigenera una musica ormai vuota di sostanza e piena di forme sclerotizzate da una tradizione morta" Francesco Spampinato
Un passo indietro di 100000 anni:
"(...)
Nell'ultima glaciazione Livorno non fu invasa dai ghiacci,
ma risentì
naturalmente del globale abbassamento di temperatura (...)".
Nel
periodo della regressione dell'acqua a causa dell'avanzamento dei
ghiacci (glaciazione del Würm, che ha
inizio 75.000 anni fa) anche l'area dove si trova oggi Livorno era
popolata da rinoceronti, ippopotami ed elefanti, che ben si trovavano
nelle lagune costiere, formatesi proprio in seguito alla regressione
dell'acqua. Nell'era interglaciale precedente (Riss - Würm,
200.000 - 75.000 anni fa), dove invece molte zone erano completamente
coperte dalle acque e la temperatura era molto più tiepida di
adesso, in acqua fu favorita la presenza anche di pesci tropicali.
Prima dell'ultima glaciazione del Würm
il pianeta era stato interessato almeno da altre quattro glaciazioni,
intervallate da lunghi periodi interglaciali. (fonte: "Vita
nella Livorno preistorica" di Ada Amadei Sala).
Ecco alcuni passi tratti dalla vita nel Medio Evo nella comunità di San Leonardo di Stagno.
"(...) Stagno, con tutto il contiguo Padule, era una volta più vasto di quello che sia di presente, poiché è stato, per quanto si è potuto, colmato e reinterrato... E' verisimile che nei contorni di Stagno, l'aria non fosse alcuni secoli fa tanto insalubre, quanto lo è ai nostri giorni (...)" da "Relazioni del viaggio per li territori di Pisa, di Porto Pisano, del territorio livornese e di parte delle colline di Pisa" di Giovanni Targioni Tozzetti (1747).
Da "La comunità di San Leonardo di Stagno nei secoli XII e XIII" di Federico Zucchelli e Giampaolo Zucchelli
"(...)
Nel basso Medio Evo esisteva una estesa raccolta di acque ferme e
paludose, di limitata profondità ma di superficie assai ampia che
veniva denominata stagno. Da questo bacino prese il nome il piccolo
villaggio che sorgeva nelle sue vicinanze (...)
il paese non era soltanto un complesso di edifici ma anche un luogo
dove convergeva gente da tutto il circondario. Molteplici, infatti,
erano le attività economiche che vi si potevano svolgere (...) Non
è ben chiaro quanto fossero in percentuale le persone, raccoglitori
e allevatori in particolare, insediati stabilmente nell'area di
Stagno, e quanti invece svolgessero il mestiere, già allora in voga,
di "pendolare". I principali mestieri erano svolti da
agricoltori, vignaroli, stipaioli, mortellai, coltivatori di piante
palustri, tagliaboschi, mandriani, pastori, allevatori, uccellatori,
pescatori, costruttori di barche, barattolai, vasai, macellai, ecc...
(...) Nella
zona veniva praticata con grande lena anche l'attività di
uccellagione (l'uccellagione è una tecnica di caccia mediante l'uso
di trappole e reti, simile al moderno bracconaggio) (...). La
proprietà della comunità era costituita da terre coltivate, dai
boschi, da una palude ricca non solo di pesci ma anche di piante
palustri, da animali come i bovini e gli ovini ed infine da superfici
acquatiche dove erano allevati i pesci (i cosiddetti "Callari") (...) oltre
ai pascoli vi erano anche aree destinate alla coltivazione del grano
e del miglio, mentre i vigneti erano situati soprattutto nelle zone
limitrofe di Porto Pisano (...). Abbondanti
erano pure le piante palustri che venivano raccolte ed utilizzate per
il fabbisogno della comunità. La palude era ricca di erbacce e
graminacee, che venivano essiccate e usate come cenere per la "fritta" (vetrina piombata). Anche la paglia veniva
utilizzata per fare barattoli o vasi dai barattolai e dai vasai
stessi. I luoghi dove si trovava la paglia si chiamavano "pagliareti" (...)".
La zona circostante comprende adesso il padule di Suese (con la Tenuta Bellavista Insuese), un'oasi naturalistica umida, relitta delle vecchie paludi costiere e più verso Pisa, sull'Arnaccio, il padule del Biscottino. Il circondario ha comunque origini assai più antiche del 1800 (quando Collesalvetti fu riconosciuta comunità autonoma rispetto a Livorno), ne è testimonianza il ritrovamento dei resti di un antico villaggio palafittico. Il lago Alberto è il principale lago dell'Oasi della Contessa.
Uno dei problemi maggiori che riscontrava questa comunità erano le inondazioni...
"(...)
in occasione dell'inondazione dell'Arno del 1547, uno scrittore come
Bernardo Segni ne rintracciava le cause primarie nel disboscamento
del Falterona e degli altri appennini «per far ferriere e legnami»
con la conseguenza che «veniva il terreno più agevolmente ad essere
smosso dalla furia delle acque, e per tal via scendendo al piano, a
riempire i letti dei fiumi, e ad inalzargli.» (...) ancora
nel gennaio del 1647 la comunità di Bientina aveva chiesto
provvedimenti e l’autorizzazione a spendere la somma di 1.000 scudi
per rialzare gli argini del padule affinché «la terra di Bientina
non resti sommersa nel acque se più ne venisse in tanta abbondanza,
come le setimane adietro, andandosi in detta terra, e fuori con le
barchette mediante le rotture di detti argini, quali oggi si
ritrovano molto scassati.» (...)".
Uno dei passi del libro più interessanti è sicuramente anche quello che riguarda l'urbanizzazione delle campagne.
Il medico condotto del paese, il fiorentino Francesco Pagnini, descriveva così la vita dei cittadini di Bientina: "Le strade sono strette e la maggior parte delle case fatte di mattone con pochi fondamenti (...) Per le altre strade facendo riflessione all’angustia delle case, alcune delle quali, oltre minacciar rovina, sono strettissime, umide, con terreni senza pavimento, e alcuni ripieni di letame (...)." Andrea Zagli nel libro ""Il lago e la comunità. Storia di Bientina: un castello di pescatori nella Toscana moderna" spiega: "(...) Una struttura che sulla fine del ‘500 aveva iniziato ad essere inadeguata a contenere l’aumento di una popolazione che, fra XV e XVI secolo, era praticamente triplicata (...). L’estrema riottosità delle persone a sottoporsi alle cure mediche, conviveva con pratiche tradizionali che prolungavano all’interno delle mura le diverse attività produttive, rurali e non; quindi l’ammasso dei concimi nelle strade e nelle case, la promiscuità di uomini e animali, la presenza di letamai e di immondezzai a cielo aperto era comune al pari dell’espletamento delle rispettive esigenze - lavorative e corporali - nelle strade (...). Non a caso il Cartegni si domandava stupito come fosse possibile che in simili condizioni di cattiva aria e di fetore - cui andava aggiunta la continua promiscuità lavorativa dei suoi abitanti con l’ambiente umido - non esplodessero violentissime pestilenze. I provvedimenti presi, sottoscritti dallo stesso governo locale all’inizio di maggio 1610 e realizzati negli anni seguenti sotto l’incalzare di una situazione igienica che rimaneva allarmante, possono essere sintetizzati nel modo seguente: apertura di alcune porte nelle mura castellane per favorire una maggiore circolazione di aria; ripulitura dei letamai interni del paese e proibizione di tenere concimi in vicinanza delle case (...)", ecc...
Ecco una delle innumerevoli citazioni riguardo alla privatizzazione di questo territorio:
"(...)
Anche nella podesteria di Ripafratta, ad Asciano, nel1567 si tentò
di dividere le «terre padulesche» fra gli abitanti per lavorarle,
mentre a Buti, vicino a Bientina, nello stesso anno furono suddivisi
i boschi comunali fra un centinaio di abitanti. Si trattò, in ogni
caso, di tentativi di aumentare le superfici coltivate determinati
sicuramente da complessi fattori quali l’aumento demografico e
l’innalzamento dei prezzi cerealicoli, ma anche dalla necessità
per molte comunità toscane di aumentare le entrate «estimali»
attraverso il recupero sul piano produttivo di aree abbandonate nel
corso del basso medioevo. Una testimonianza sul piano letterario di
questa propensione alle coltivazioni e alla riduzione degli incolti è
riscontrabile, alla fine del XVI secolo, negli scritti del fattore
granducale Ceseri Frullani di Cerreto Guidi, che aveva dedicato due
opere manoscritte ai problemi del vicino Padule di Fucecchio:
attraverso le sue parole si ha la netta impressione della fine di
un’epoca, quando dichiarava che era «scemato l’amor degl’huomini
circa le cose comunali» dopo le numerose alienazioni e
privatizzazioni di terreni realizzate nella seconda metà del XVI
secolo (...)".
In sintesi il libro descrive come "(...)
Il tipo di organizzazione che si era venuta modellando, così segnato
da una diffusa <<cultura delle acque>> e da un orizzonte
ambientale così particolare, iniziò a subire profonde
trasformazioni assai prima che la scelta della bonifica divenisse una
scelta di politica territoriale non più differibile (...) La
decisione del governo di procedere al definitivo prosciugamento del
lago si concretizzò dopo il Decreto del 10 aprile 1852 (...)"
Anche per quel che concerne la pesca nella zona è interessante leggere ciò che si dice nei libri "La comunità di San Leonardo di Stagno nei secoli XII e XIII" di Federico Zucchelli e Giampaolo Zucchelli (per quel che concerne il Medio Evo) e "Il lago e la comunità. Storia di Bientina un <<castello>> di pescatori nella Toscana moderna" di Andrea Zagli (per quel che concerne i secoli dal 1500 al 1800).
Da "La comunità di San Leonardo di Stagno nei secoli XII e XIII" di Federico Zucchelli e Giampaolo Zucchelli:
"(...)
Venivano adoperate delle speciali reti nelle quali entravano i pesci,
attraverso una stretta apertura e non potevano più uscirne (la rete
si chiamava "bordoncello"), ed altre ancora che
consistevano in reti più grandi che fungevano da autentici vivai (la
rete si chiamava "bordone"). Reti, chiamate
"ripaiole", calate nei canali dove la corrente era
molto veloce, permettevano di assicurare dei risultati molto validi,
in termini di pescato. Ci si avvaleva anche di altri marchingegni,
costituiti da reti di lancio ("giacchi"), fiocine
(arnese da pesca costituito da un'asta e una punta, che può essere
anche lanciato, e in questo caso è munito di fune che lo collega
all'imbarcazione) e lumi (i lumi erano adoperati di notte e all'alba)
(...)". Le reti "(...) venivano calate dalle imbarcazioni
costruite dagli stessi abitanti (piccole imbarcazioni che si potevano
tirare facilmente a riva, chiamate "lontre" o anche
"placte"(...)". Quando
si fa riferimento alla "lontra", anziché collegarla
direttamente al nome di una imbarcazione piccola, maneggevole,
leggera, facile da costruire e a guisa di canoa, "(...) c'è chi
(Targioni Tozzetti 1701) addirittura propone un'ipotesi suggestiva e
vagamente esotica, quando sostiene che nello stagno vivessero
realmente delle lontre (...)", dotate di finissimo odorato e
vista acuta, già abili cacciatori di pesca di per sè, "(...) è
affezionato al proprio padrone e si lascia addestrare facilmente per
la cattura dei pesci (...)" (Del Rosso 1920).
Da "Il lago e la comunità. Storia di Bientina un <<castello>> di pescatori nella Toscana moderna" di Andrea Zagli
"(...)
Il divieto quindi di utilizzare i «gorri»
diveniva la discriminante principale nei rapporti giurisdizionali fra
i due Stati (Lucca e la comunità bientinese) per la gestione dello
spazio lacustre; successivamente il divieto venne esteso alle altre
reti chiamate «cerchiaie»,
anch’esse strumenti per la pesca a strascico i cui danni di natura
ambientale («mandano a male tutte le crie, et ova de’ pesci») e
di natura economica (non diversamente dai gorri distruggevano le reti
degli altri pescatori) vennero proibiti mediante «Bandi» emanati
congiuntamente dai due Stati nel 1632. Veniva così formalizzata la
normativa fondamentale che avrebbe regolato la pesca in comune nello
spazio lacustre per almeno due secoli. (...)"
Da «Atti criminali. II. Vicario Ranieri Tozzi. 1779-1781».
"(...) Son
certi vasi simili nella figura a un Coppo da Olio, cioè in fondo
piani, e larghi alla circonferenza di circa due braccia, e in cima
stretto stretto che appena ci entra una mano, serrandosi tanto in
cima che in fondo, messo che vi si è il pesce con un tappo di legno,
e tali vasi chiamati nasse o sian vivai da
pesce sono fatti di legni piccoli d’avetrice, tessuti poi con dei
salci, e verghe piccole fermate assieme strettamente perché non esca
il pesce, alte tali nasse due, e tre braccia l’una, essendovene
delle più grandi, e delle piccole anche tra quelle che si tiene noi
altri che in tutte ne averemo sessanta, o settanta (...)".
"I prelievi per usi irrigui superano in molte zone del pianeta le capacità di apporto dei corsi d'acqua, delle piogge e quella della ricostruzione delle riserve naturali. La vicenda più esemplare è la morte del Lago Aral (Asia Centrale) che era il quarto lago più grande del mondo. (...) ridurre il carico inquinante dell'acqua utilizzata da agricoltori, industrie ed insediamenti urbani, permetterebbe in gran parte il loro riutilizzo per l'irrigazione. Il consumatore può a sua volta fare molto per migliorare l'ambiente, semplicemente acquistando prodotti di stagione, di provenienza locale, prodotti biologici o prodotti col marchio di qualità".
Da "Il monitoraggio delle acque ad uso irriguo nel Parco Regionale Migliarino San Rossore Massaciuccoli - tenute di Tombolo e Coltano" di Nicola Silvestri e Luca Gorreri. Come ho potuto leggere sulla pesca sul lago di Bientina come i pescatori lucchesi non rispettassero "l'ambiente" con la loro pesca invasiva, rispetto ai bientinesi, che ne conoscevano meglio le caratteristiche produttive e che quindi gestivano meglio le risorse per il futuro, spesso gli agricoltori da soli non sono in grado di sfruttare le risorse idriche, senza danneggiare l'ambiente, perché c'è bisogno di tenere di conto di numerosi fattori, tra i quali (specialmente in un ambiente come il padule) la salinità è soltanto uno dei principali. Sempre dal libro di Silvestri e Gorrieri: "(...) In alcune aree infatti appaiono chiari gli effetti della contaminazione di origine marina e gli elevati livelli di cloruri, di sodio e di conducibilità costituiscono evidenze incontestabili dell’aggravarsi dei fenomeni legati all’intrusione delle acque salmastre e all’avanzamento del cuneo salino. Il mutato regime delle precipitazioni, le ridotte altezze di pioggia, l’eccessivo sfruttamento della falda, la mancanza di aree umide che assicurino l’infiltrazione delle acque piovane, l’ancora troppo scarso riciclo delle acque in uscita dai depuratori sono tutte concause della penetrazione e dell’avanzamento del fronte marino sia attraverso il territorio costiero, sia attraverso possibili vie preferenziali (quali ad esempio alcuni canali di bonifica, il canale dei Navicelli e lo stesso fiume Arno) (...)".
Non dimentichiamoci mai che l'acqua è ciò che ha permesso la vita sul nostro pianeta.
Ricordiamoci sempre che l'acqua è un bene comune.
___________________________________________________________________________
___________________________________________________________________________
Altre letture:
di Gianfranco Barsotti